6 febbraio 2013

Breve intervista a Gianni Berengo Gardin, in occasione della retrospettiva: "La mia Italia che non c'e' piu'"


Si definisce un manovale della fotografia. La prima l’ha scattata a Lugano, quando faceva il cameriere. L’ultima è ancora lontana. "La fotografia è la mia benzina. Quando c’è da fotografare, io corro".

Gianni Berengo Gardin - "non mi chiami artista, la prego. Tantomeno maestro. Non lo sopporto" - è ancora oggi quello che ha scelto di essere cinquanta anni fa: "Semplicemente un testimone della mia epoca".

Una testimonianza lunga 82 anni, circa 300 mostre personali in Italia e all’estero, oltre 200 volumi fotografici pubblicati, collaborazioni prestigiose, da Il mondo di Pannunzio al Touring Club italiano, premio World Press Photo nel ’63, laurea honoris causa in Storia e Critica dell’Arte presso l’Università di Milano nel 2009, Ambrogino d’oro nel 2012. Le sue immagini in bianco e nero fanno parte delle più prestigiose collezioni di musei e fondazioni tra cui il Museum of Modern Art di New York.

Oggi a celebrarlo sarà la sua città d’elezione, Venezia, con una retrospettiva da 130 foto alla Casa dei Tre Oci. L’Italia, in questi cinquant’anni di scatti, è cambiata sotto i suoi occhi. Lui l’ha osservata e restituita in migliaia di immagini che oggi sono un resoconto fedele e impietoso di un Paese che, con i decenni, "è cambiato moltissimo, nel bene e nel male".

La breve intervista dal sito www.ilmessaggero.it